Nonostante i grandi successi ottenuti in cardiologia negli ultimi decenni, la mortalità a 30 giorni nello shock cardiaco è rimasta invariata negli ultimi 20 anni e ancora un paziente su due che non sopravvive. Il Seminar approfondisce l’argomento, mettendo in luce quanto una fenotipizzazione migliore e più precoce dei pazienti in shock possa permettere di ottimizzare l’approccio terapeutico sia farmacologico, che meccanico o emodinamico. Anche nei pazienti con insufficienza cardiaca gli episodi di scompenso acuto sono gravati da elevata mortalità con scarsa efficacia delle terapie farmacologiche testate. Gli inotropi e i vasodilatatori benché ampiamente utilizzati nella pratica clinica in tutte le forme di scompenso acuto, sono supportati da poche e spesso contraddittorie evidenze sulla loro efficacia soprattutto in termini di mortalità, questo per eterogeneità dei pazienti inseriti negli studi, diversità nei dosaggi utilizzati e di farmaco o trattamento comparatore. Le linee guida, poco supportate da evidenze forti, danno dunque indicazioni tiepide che poco orientano sul tipo di farmaci e sulle modalità con cui utilizzarli nei diversi contesti. Esperienza mirata, pratica clinica e consensi con esperti restano pertanto gli unici approcci possibili nell’affrontare lo scivoloso terreno della terapia farmacologica nello scompenso acuto e refrattario che richiede al cardiologo un elevato livello culturale, ma anche senso critico, empirismo e capacità adattative.
di Claudio Cavallini, Manlio Gianni Cipriani